ISSN: 1705-6411
Volume 4, Number 3 (October 2007)
Author: René Capovin


«L’acqua in polvere. Aggiungere acqua per ottenere acqua».
Jean Baudrillard

Alla vigilia della prima guerra nel Golfo, Jean Baudrillard1 vaticina che quella guerra non avrà luogo; quando scoppia, rilancia e dice che la guerra, in effetti, non ha luogo; a guerra finita, conclude che la guerra del Golfo non ha avuto luogo.2 Edward Said commentò che gli sarebbe piaciuto dotare l’amico Jean di una bottiglia di Evian e mandarlo là in Iraq, a rendersi conto di persona.3 Il 6 marzo 2007 Jean Baudrillard è morto, sottraendosi in maniera definitiva a esperimenti cruciali di questo tipo – cui chissà quanti lo avrebbero voluto sfidare. In effetti, se ne è andato un autore che ha lasciato debiti di senso un po’ dappertutto: tra sociologi cui non tornavano i conti, lettori di giornale perplessi e intellettuali punti nel vivo, sono pochi quelli che non avrebbero voluto prendere Baudrillard per il bavero.

Eppure, senza un continuo rimando a questa scena primaria (creditori che accusano, il debitore che fa capire di aver già pagato), la storia che voglio raccontare suonerebbe falsa: come si fa a parlare di Jean Baudrillard e della sua opera senza parlare dei suoi lettori, e in particolare dei suoi lettori insoddisfatti? Sarebbe come parlare della sfinge e del suo enigma senza parlare di tutti quelli che hanno cercato di scioglierlo. Ora, il fatto che nel nostro caso non ci sia stato né ci possa essere alcun Edipo non ci deve distogliere dal nodo della questione: gran parte di quello che Baudrillard ha scritto non va isolato dal suo accadere, ma preso insieme al suo principale effetto, che consiste nell’irritare i dispositivi di decodifica del lettore sino al mandarli fuori uso. Questa strategia crea ‘inevitabilmente’ creditori di senso perché Baudrillard scrive ‘contro’ il lettore.

In questo senso, raccontare la storia di Baudrillard e della sua opera non può prescindere dalle peripezie di chi si trova costretto a dubitare che un’‘opera’, in quanto sostrato di una possibile attività ermeneutica o critica, vi sia davvero. Una strana storia, quindi, e per di più divisa in due parti difficili da collegare.

Vita di un intellettuale, morte dell’intellettuale; e il resto, in sovrappiù
Dice Hannah Arendt che quando vogliamo raccontare ‘chi’ è un individuo finiamo col raccontare ‘che cosa’ è: l’identità di chi parla e agisce mantiene «una sorta di curiosa intangibilità che elude tutti gli sforzi di offrirne un’espressione verbale non equivoca».4 La forma biografica per eccellenza, secondo Arendt, è il drama: l’individuo può essere evocato solo attraverso l’imitazione del suo agire offerta dall’attore.5 Quello che viene ‘rappresentato’, però, non è il ‘carattere’, che in quanto risultante dell’incrocio di tratti generali non può restituire la singolarità dell’individuo. A essere messo in scena è l’insieme delle azioni compiute ‘tra’ gli altri uomini da quel particolare essere umano. L’arte, e il teatro in particolare, è in presa diretta non con l’interiorità delle persone, ma con la sfera, eminentemente ‘politica’, in cui si dispiega l’agire degli individui.

Per la prima vita di Baudrillard,6 tutto questo vale: fino a metà degli anni Settanta, una biografia nel senso arendtiano del termine potrebbe essere scritta. Questa prima vita, infatti, si svolge durante la tarda era dell’intellettuale, quegli ultimi anni gloriosi in cui sapere e politica sembravano ancora potersi coniugare virtuosamente grazie alla mediazione di una critica rinnovata. Col senno della sua seconda vita, Baudrillard concluderà che l’intellettuale è quella specifica figura sociale che esiste solo all’opposizione ed è, in certo modo, il portatore sociale del negativo: finché ci sono le condizioni sociali per un’opposizione, l’intellettuale esiste nel senso pieno, politico e non solo biologico, del termine. E lui intellettuale lo fu.

In questo senso, le prime opere di Baudrillard sono leggibili non solo, o non tanto, come contributi ‘scientifici’, o genericamente ‘culturali’, ma come azioni che, attraverso il medium conoscitivo, accadono in un mondo comune. Così, le quattro opere di Peter Weiss tradotte tra il 1964 e il 1968,7 la traduzione di Dialoghi di esiliati, di Bertold Brecht, nel 1965, e quella dell’opera di Mühlmann sulle potenzialità rivoluzionarie dei movimenti nativisti nel Terzo Mondo;8 la fondazione della rivista «Utopie», nel 1967;9 i suoi primi articoli, i suoi primi libri,10 tutto appare ancora ‘pubblico’. E poco conta che la posizione occupata da Baudrillard fosse eccentrica rispetto a impostazioni critiche più potenti, tanto a livello conoscitivo quanto a livello politico-culturale: accomunando la subcultura paracritica degli ‘intellettuali’ alla logica dominante, evocando la Sovversione (esempio: maggio ’68) come principio irriducibile al Potere contemporaneo (‘doppiatosi’ in Potere e Rivoluzione, con la seconda come residenza secondaria del primo), Baudrillard continua ad intervenire, pur minoritariamente,11 nel mondo intellettuale, e di qui nel mondo tout court.

Nello specifico, se i movimenti sociali degli anni ’60 e ’70 segnano la crisi irreversibile di una rappresentazione politica centrata sul modello della lotta di classe (modello messo fuori gioco dai milioni di lavoratori tenuti ‘fuori classe’ dalla società intera, dai milioni di “devianti [che] infettano con la loro devianza tutto il proletariato, che impara a poco a poco a voltare le spalle al sistema della rappresentazione e ad ogni istanza che pretenda di parlare in suo nome”)12 , l’azione di Baudrillard può essere considerata il corrispettivo ‘scritto’ di questa guerriglia sociale: si tratta di atti contro il principio di realtà, eppure (anzi, proprio per questo!) si tratta di atti ‘reali’. La logica della società dei consumi, le istituzioni che le si oppongono mediando e le sociologie che la criticano rispecchiando segnano i confini del razionale: là fuori ci stanno le donne, i giovani, i liceali, gli omosessuali, gli immigrati e i Baudrillard. Di qui la specifica declinazione immediatistico-luddista del significato di ‘utopia’:

L’utopia è il non-luogo, la decostruzione radicale di tutti i luoghi della politica. Nessun privilegio per la politica rivoluzionaria. […] È ciò che spiazza continuamente il politico, e l’annulla in quanto tale. L’utopia, non è la dialettica del possibile e dell’impossibile. Non è ciò che supera le contraddizioni dialettiche, è ciò che le trasgredisce nei loro stessi termini.13

Da ciò, però, segue almeno questo: l’utopia o agisce qui e ora, o non è. Ebbene, a un certo punto, l’energia che percorreva le ‘cose stesse’ si esaurisce, e l’utopia che inquietava l’ordine della società dei consumi si ritira. La prima vita di Baudrillard, cioè la sua esistenza in quanto intreccio di azioni ‘pubbliche’, finisce assieme a ‘questo’ orizzonte di possibilità, che era politico prima che teorico. Nel vuoto lasciato dalla rappresentazione e dalla sua trasgressione si dipana la transpolitica e la seconda vita di Baudrillard:

Qui comincia il resto della mia vita. Ma il resto è ciò che viene dato in sovrappiù, e c’è un incanto e una libertà particolare nel lasciare che una qualsiasi coda proceda con la grazia, o la pena, di un destino ulteriore.14

America
Dopo l’uscita della sua opera più nota e ambiziosa, Lo scambio simbolico e la morte, nel 1976,15 il racconto di ‘chi’ sia stato Baudrillard sembra doversi biforcare verso i due surrogati classici, l’aneddoto e l’analisi delle opere. C’è il viaggio in America, c’è una misteriosa fase di ripensamento; c’è il libro ‘contro’ Foucault,16 poi quello sui simulacri,17 ma l’intellettuale, outsider e appassionato, scompare. Restano un uomo e le sue opere, e quando Baudrillard parla di ‘scacco dell’utopia’ si riferisce a questa nuova condizione, di indifferenza e disimpegno da assenza di ‘mondo’ (da intendersi come sfera di interessi comuni, in cui agire).

Così, l’America di cui scrive nel suo libro forse più bello non è più una ‘realtà’ politica o sociologica, ma la pura e scandalosa assenza di potenzialità inattuate, l’insopportabile sottrarsi di qualcosa che prema ai confini della realtà. Dalle autostrade e dai deserti americani, la virtù ultra-critica scade a distinzione fatta (quasi) sul niente. In fondo, è anche contro di sé che Baudrillard annota:

Resteremo utopisti nostalgici dilaniati dall’ideale, ma restii, in fondo, alla sua realizzazione, proclamando che tutto è possibile, ma mai che tutto è realizzato. Proprio questo, invece, è ciò che l’America afferma. […] Noi viviamo nella negatività e nella contraddizione, gli americani nel paradosso (perché è un’idea paradossale, quella di un’utopia realizzata).18

In realtà, non c’è nessuno scandalo. Questo nuovo scenario è insopportabile solo per chi è abituato (nei casi estremi, cioè nel caso di Baudrillard) a un’utopia che arriva a ondate da sinistra. Qui, semplicemente, l’utopia dilaga placida da ogni dove e gli ‘esclusi’ non sono più tenuti ai margini, quindi portatori di un’energia trasgressiva, ma votati all’oblio, all’abbandono, alla sparizione pura e semplice:

La miseria che un tempo li alleviava, che si manteneva nell’orbita di un assistenzialismo sociale, cade ora sotto i colpi di decreti provvidenziali (presidenziali). È come se il giudizio universale ci fosse già stato. I buoni sono stati giudicati buoni, gli altri sono stati banditi. Cancellato il Terzo Mondo d’infausta memoria. […] Evviva il Quarto Mondo, quello al quale si dice: ‘L’utopia è realizzata, spariscano coloro che non vi fanno parte’, quello che non ha più il diritto di riemergere, disenfranchised, decaduto dal diritto di parola.19

Del resto, anche in Francia la realizzazione dell’utopia si compie, dopo un lungo processo storico che sfocia nell’avvento dei socialisti al potere. In ogni caso, il cerchio si chiude anche di qua: la sinistra comanda quando tutte le energie di rottura sono esaurite, imponendosi come il regime di crociera di una società moderna, matura, riconciliata con se stessa.20

Che fare, allora? Resistenza critica? Auto-riciclo nel mainstream postmoderno?21 Chiusura professionalizzante? Chi diventa, Baudrillard?

La terza opzione non poteva essere un ‘rischio’ reale, per Baudrillard, e questo fin dai suoi primi lavori, ancora di impianto sociologico ma già irrimediabilmente freak. La prima e la seconda opzione costituiscono le due chiavi interpretative più diffuse per rendere conto delle performance ‘postume’ di Baudrillard, che a me paiono invece contraddistinte da una sorta di indifferenza provocatoria – troppo algida e auto-ironica per essere critica, troppo straniata per essere ‘davvero’ postmoderna.

In ogni caso, la prima opzione, cioè l’idea che Baudrillard sia rimasto, nel fondo e forse anche nonostante le sue intenzioni, un intellettuale (pleonastico aggiungere ‘critico’, come abbiamo visto), è semplicemente l’idea opposta a quella che regge questa ricostruzione, in cui si giustappone una prima vita ‘radicale’ a una seconda vita che, per non essere uguale alla prima, dovrà per forza non essere più engagé.

Il cerchio pare restringersi.

Il grande complotto
Resta la seconda opzione. In effetti, Baudrillard si è esposto al rischio di essere guardato nello stesso modo in cui lui guardava all’arte contemporanea e al postmoderno: come a un complotto.

Secondo Baudrillard, la maggior parte dell’arte contemporanea è mediocrità che si spaccia per arte passando dal primo al secondo livello, ‘ma è nulla e insignificante sia al primo che al secondo livello’22 . L’arte moderna, in quanto dominio dell’anti-utilitario, si è esaurita al momento della messa in scena della sua sparizione: Duchamp e Warhol non hanno inventato nuove forme di opposizione alla logica della merce, come consigliava la regola aurea del campo estetico, ma hanno raddoppiato la merce, ne hanno proposto un supplemento ecolalico (del tipo: tutto è merce, ‘appunto’). Tale messa in scena, però, se ripetuta, decade a simulazione della sparizione dell’arte: l’auto-sovversione diventa allora ‘complotto’, cioè complicità ‘occulta e alquanto turpe’23 tra artista (che gioca al secondo, terzo, quarto, x-livello) e masse ‘stupefatte e incredule’. Che la scomparsa dell’arte venga ‘simulata’ non significa affatto che, ormai, la sua morte sia avvenuta: situata oltre la propria fine, l’arte è allo stesso tempo esaurita (in quanto sistema orientato da valori fissi, retto da un canone estetico) e in proliferazione incontrollata. Essendo collocata al di là della sua data di scadenza storica, ce n’è e ce ne sarà sempre di più, e in una misura tale da rendere impossibile un giudizio effettivamente ‘critico’ – dal momento che ‘tutto’ è arte, ‘si ha solo una spartizione in via amichevole, necessariamente conviviale, della nullità’.24

Il corrispettivo nel campo intellettuale di questi nipotini di Warhol è costituito, per Baudrillard, dal postmoderno25 e dal pensiero debole.26 Ora, è comprensibile che Baudrillard abbia sempre rigettato l’apparentamento a queste correnti, ma è da vedere se tale pretesa dissociazione sia legittima. ‘Non faccio parte del club, del serraglio’,27 dice Baudrillard – ma ciò non significa forse che, snobbata la cerchia degli scienziati, preso atto dell’esaurirsi di un certa energia sociale e del suo corrispettivo intellettuale, anch’egli ha di fatto giocato la sua parte nel complotto che permette al ‘pensiero’ contemporaneo di riprodursi, in forma degradata, all’infinito?

Tutta l’opera post-critica di Baudrillard è giocata sul filo di questa domanda, senza che possano mai essere fornite ‘prove’ dirette di una sua effettiva estraneità all’impostura. Prove di verosimiglianza, prove di efficacia… Qualsiasi prova dovrebbe assumere il partito preso del senso, quando Baudrillard configura la propria scrittura come una sfida al senso – e come rendere conto, da dentro i confini del senso, di un nonsense? Come applicare al campo che Baudrillard riconosce come proprio, quello della scrittura, la sua distinzione tra “falsari”, cioè coloro che mirano al non-senso essendo già nulla, e forme di arte ancora capaci di scena e illusione, portatrici di una sfida vittoriosa al senso?28 Come fondare l’idea che Baudrillard appartenga a questa seconda schiera? Domande senza una vera risposta.

 Gettare ombra sulle cose
Baudrillard porta avanti un’opera che a me pare essere di provocazione, di sviamento, di straniamento senza illuminazione – volti la carta e… non c’è niente! Una roba da artigiano arguto, non da falsario – di certo, non da intellettuale puro:

Sartre muore ancora pomposamente. Barthes e Foucault scompaiono discretamente, prematuramente. L’era dei grandi letterati e rétori che sopportavano allegramente la gloria è finita. I pensatori più sottili dell’era mediatica non la sopportano […]. Quando la gloria si rivolge verso un intellettuale puro, lo condanna a scomparire.29

Forse, la seconda vita di Baudrillard è stato un modo per non dover scomparire, per stare sulla scena mediatica senza esserci, ma facendo il provocatore che getta ombra sulle cose.

Masse e politica, per esempio30 . Tesi di partenza: l’equilibrio moderno del rapporto politica-società vede il primo termine come “specchio”, “rappresentazione” del secondo: sondaggi, test, referendum, media sono modi per ‘rappresentare’ il popolo a se stesso; il sistema politico contemporaneo si riproduce grazie alle risposte che i cittadini-recettori forniscono ai suoi impulsi31 . Il politico e l’esperto di marketing ‘devono’ credere che la risposta data veicoli una credenza effettiva, ma ciò discende da un indiscusso (quindi inconfutabile) “assioma di credibilità”32 , secondo il quale le masse sarebbero permeabili al discorso, avrebbero un’opinione, sarebbero presenti dietro alle opinioni e alle statistiche:

‘[Il] rituale meteorico delle statistiche e dei sondaggi non ha oggetto reale […], simula semplicemente un oggetto che sfugge, ma la cui assenza è insopportabile. Allora lo ‘produce’ sotto forma di risposte anticipate, di segnali circolari che sembrano circoscrivere la sua esistenza e testimoniare la sua volontà”.33

A tale assioma Baudrillard oppone l’ipotesi, ‘improbabile e inverificabile [!]’, che la massa, la maggioranza silenziosa non sia un ‘soggetto’, ma il punto di convergenza dei flussi che la interrogano. La “maggioranza silenziosa” non consiste in un rifiuto generalizzato del fornire risposte al ‘potere’ (comportamento che sarebbe pur sempre decodificabile come risposta determinata e gestibile, cioè come un ‘no’), ma come effetto della stessa proiezione statistica che, simulando, produce risposte tautologiche, circolari (un ben più scivoloso “sì” sistematico). Contro ogni evidenza e senza portare alcuna ‘prova’, Baudrillard afferma che le masse non esistono affatto, ma sono l’effetto della simulazione politica: la ‘sostanza’ delle masse si riduce ai processi che dovrebbero irretirla, la maggioranza è silenziosa perché è un prodotto enigmatico dell’operare del sistema politico.

Stessa inversione nel caso dell’informazione. Nel sistema dei media, ogni evento viene ridotto a un quanto informativo, e viene così privato della sua singolarità, reso omogeneo a ogni altra notizia: questo processo provoca (ma è già Baudrillard, qui, che provoca) la fame di eventi che riescano a resistere a tale appiattimento, l’esaltazione per gli accadimenti che risultino (anche a posteriori) imprevedibili. Si prenda l’incidente di Lady D.34 Se si parte dall’evento ‘reale’ e si vanno a cercare le possibili cause, non si fa che ridurre quell’evento singolare al suo modello esplicativo. Tutte le ipotesi (‘casualità’? ‘complotto’? esempio paradigmatico di ‘manipolazione mediatica’?), in effetti, convergono nel postulare un evento reale, cioè qualcosa che avrebbe potuto anche non aver luogo. Baudrillard scrive che la fascinazione mondiale per questo fatto è irriducibile a tutti i commenti che lo hanno accompagnato, e può essere pareggiata solo con un’analisi irrealistica, o ‘fatale’.

Rovesciando l’ordine di analisi, Baudrillard riconduce la fascinazione per la morte di Diana a un desiderio di evento provocato dalla logica stessa del sistema informativo – desiderio che può essere soddisfatto solo da qualcosa di inspiegabile, di irrazionale, di singolare. Ora, la predestinazione è del tutto ‘irrazionale’: l’evento reale non basta, solo l’evento fatale resiste a ogni rimessa in ordine secondo il prima e il poi, secondo la causa e l’effetto. Evento fatale, cioè quello che non avrebbe potuto non aver luogo: perché non ci fosse l’incidente non avrebbero dovuto esserci né Dodi, né il Ritz, la ricchezza dei principi arabi, la rivalità con i britannici, l’Impero britannico stesso…

«Così, a contrario e in absentia, tutto concorre all’imperiosa necessità di questa morte.  […] Tutto ciò [le varie spiegazioni ‘realistiche’] non fa che mascherare l’oscuro oggetto del nostro desiderio, quello di evento appunto, di sconvolgimento dell’ordine delle cose, qualunque sia, di sacrificio delle figure più gloriose (le star, gli uomini politici…)».35

Dove l’evento fatale è questa analisi e chi provoca è Baudrillard. Di più, si può dire?36 Baudrillard in polvere. Aggiungere Baudrillard per ottenere Baudrillard.


About the Author
René Capovin is a freelance Writer from Schio, Italy.


Endnotes
1 – Baudrillard nasce nel 1929 a Reims, in Francia, da genitori contadini. Proviene da una famiglia che ha compiuto la transizione dalla vita contadina (i nonni erano agricoltori) a quella urbana (i genitori lavoravano in città come domestici). È il primo della famiglia ad accedere agli studi superiori.

2 – Cfr. J. Baudrillard, La Guerre du Golfe n’a pas eu lieu, Paris, Galilée, 1991; tr. it. parziale in aa. vv., Guerra virtuale e guerra reale. Riflessione sul conflitto del Golfo, Milano, Mimesis, 1991.

3 – L’aneddoto è riportato in W. Bogard, Baudrillard, Time, and the End, in D. Kellner, a cura, Baudrillard. A Critical Reader, Cambridge, Blackwell, 1994, pp. 313-333.

4 – Cfr. H. Arendt, The Human Condition, Chicago, University of Chicago, 1958; tr. it. Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1994, p. 132.

5 – Ivi, p. 137.

6 – Una raccolta di componimenti poetici, scritta negli anni ’50 e pubblicata solo negli anni ’70 (J. Baudrillard, L’ange de stuc, Paris, Galilée, 1978), costituisce la prima traccia autoriale, cui fanno seguito dei lavori catalogabili entro il comparto disciplinare della critica letteraria. Si tratta di recensioni di libri di letteratura italiana e tedesca, comparse tra il 1962 e il 1963 su Les Temps Modernes, la famosa rivista fondata da Sartre.

7 – Da segnalare le note che accompagnano Vietnam Diskurs, dove Weiss presenta la propria tecnica: si tratta di una strategia orientata a smascherare le contraddizioni del potere attraverso una selezione di materiale documentario reale (registrazioni, documenti officiali, fotografie) che trasforma l’opera in una sorta di processo democratico.

8 – Cfr. W. Mühlmann, Messianisme révolutionnaire du Tiers-monde, Paris, Gallimard, 1968. Il libro viene citato in un passaggio-chiave di L’échange symbolique et la mort, Paris, Gallimard, 1976; tr. it. Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 159, cioè l’opera più famosa e ambiziosa di Baudrillard.

9 – Lo stesso Baudrillard ricorda che anche una rivista molto piccola e poco letta come Utopie dava agli autori la convinzione di avere un pubblico, di scrivere per qualcuno (cfr. M. Gane, a cura, Baudrillard live. Selected interviews, London and New York, Routledge, 1993, p. 19).

10 – L’incipit della parabola di Baudrillard è dettato dall’esigenza di registrare, quasi fenomenologicamente, che qualcosa, nella vita quotidiana, è cambiato: prima gli oggetti, poi il consumo sono anzitutto resi visibili, poi analizzati intrecciando problematica marxista e modelli dell’analisi semiotica. Così, nel suo primo libro (Le Système des objects, Paris, Gallimard, 1968; tr. it. Il sistema degli oggetti, Milano, Bompiani, 1972) Baudrillard sostiene che il sistema degli oggetti non costituisce una lingua vera e propria, e ciò per la permeabilità del sistema oggettuale all’influenza del potere sociale. È questa apertura a rendere gli oggetti, contrariamente alla arbitrarietà della struttura linguistica, un ordine teleologico, quindi ideologico: il sistema degli oggetti, infatti, risulta a sensibilità selettiva, e ciò perché risponde solo a certi gruppi, cioè a quelli che detengono il potere sociale reale.

11 – In effetti, la parabola di Baudrillard manterrà un costante carattere eccentrico rispetto all’ordine che regge il mondo accademico e, più in generale, intellettuale. Cronologicamente, la prima schivata avviene al momento del non ingresso all’École Normale Supérieure, strada quasi obbligata, in Francia, per accedere all’insegnamento universitario; l’ingresso nell’istituzione accademica avvenne faticosamente, per vie secondarie e non portò mai all’acquisizione del titolo corrispondente al nostro ordinariato. Non si può dire che Baudrillard se la sia presa: “Per quanto riguarda le normali tappe di una carriera, le ho sempre mancate. Lo dico senza alcuna recriminazione, perché è ciò che ho voluto” (M. Gane, a cura, Baudrillard live…, op. cit. p. 19).

12 – J. Baudrillard, Pour une critique de l’économie politique du signe, Paris, Gallimard, 1972; tr. it. Per una critica dell’economia politica del segno, Milano, Mazzotta, p. 238.

13 – Ivi, p. 40.

14 – J. Baudrillard, Cool Memories 1980-1985, Parigi, Galilée, 1987; tr. it. in Cool Memories. Diari 1980-1990, Milano, Sugarco, 1991, p. 9.

15 – Questo l’incipit: «Non c’è più scambio simbolico al livello delle formazioni sociali moderne; non più come forma organizzatrice. Certamente, il simbolico le assilla come la loro morte; ma, proprio perché non ne regola più la forma sociale, esse non ne conoscono più che l’assillo, l’esigenza continuamente preclusa dalla legge del valore» (J. Baudrillard, L’échange…, op. cit., p. 11).

16 – J. Baudrillard, Oublier Foucault, Paris, Galilée, 1977; tr. it. Dimenticare Foucault, Bologna, Cappelli, 1977. In realtà, Baudrillard contesta alla microfisica foucaultiana di rimanere vincolata all’assioma del potere quale dispositivo di controllo del reale: è questo assunto che carica la demoltiplicazione del nuovo potere cibernetico, peraltro registrata da Foucault in maniera magistrale (come Baudrillard implicitamente riconosce), di una connotazione conflittuale indebita.

17 – Tanto per dare un’idea: «Oggi l’astrazione non è più quella della carta, del doppio, dello specchio o del concetto. La simulazione non è più quella di un territorio, di un’entità referenziale, di una sostanza. Oggi, essa genera attraverso i modelli di un reale senza origine né realtà: iperreale. Ormai è la carta che precede il territorio – PRECESSIONE DEI SIMULACRI» (J. Baudrillard, La précession des simulacres, in «Trasverses», n. 10, 1978; tr. it. La precessione dei simulacri, in Simulacri e impostura, Bologna, Cappelli, 1980, pp. 45-95).

18 – J. Baudrillard, Amérique, Paris, Grasset, 1986; tr. it. America, Milano, SE, 2000, p. 90.

19 – Ivi, pp. 123-124.

20 – Cfr. J. Baudrillard, La Gauche Divine, Paris, Grasset, 1983; tr. it. La sinistra divina, Milano, Feltrinelli, 1986.

21 – Devo chiarire che qui utilizzerò la categoria di ‘postmoderno’ nella sua declinazione più squalificata e irritante, pur restando convinto che ne esistano versioni difendibili, addirittura serie.

22 – J. Baudrillard, Le complot de l’art & Entrevues à propos du ‘complot de l’art’, Sens & Tonka, Paris, 1997; tr. it. Il complotto dell’arte & interviste sul ‘complotto dell’arte’, Pagine d’Arte, Milano, 1999, p. 2.

23Ibid.

24 – Ivi, p. 25.

25 – «La postmodernità è la simultaneità della distruzione dei valori anteriori e della loro ricostruzione. È il rifacimento dello sfascio [!]» (J. Baudrillard, Cool memories…, op. cit., p. 163); «Il postmoderno è il primo prodotto concettuale davvero universale come i jeans e la Coca-Cola. Ha le stesse virtù a Vancouver o a Zanzibar, a Chicago o a Budapest. Fornicazione verbale di tutte le latitudini [!]» (J. Baudrillard, Cool memories…, op. cit., p. 291.

26 – «Il pensiero debole è realmente un pensiero debilitato [!]» (J. Baudrillard, Cool memories…, op. cit., p. 261).

27 – M. Gane, a cura, Baudrillard live…, op. cit., p. 19.

28 – J. Baudrillard, Le complot de l’art…, op. cit., p. 29.

29 – J. Baudrillard, Cool Memories 1980-1985…, op. cit., p. 153.

30 – Il riferimento è a J. Baudrillard, A l’ombre des majorités silencieuses ou la fin du social, Fontenay-sous-Bois, Cahiers d’Utopie, 1978; tr. it. All’ombra delle maggioranze silenziose o la fine del sociale, Bologna, Cappelli, 1978.

31 – Ovviamente, per chi rigetta questa tesi, la lettura dei testi di Baudrillard che su di essa si sviluppano risultano illeggibili: in effetti, i lavori di Baudrillard somiglino molto di più a dei racconti borgesiani che a opere, pur lato sensu, scientifiche – bisogna assumere, non criticare, o almeno non subito!, il mondo in essi implicito.

32 – Ivi, p. 41.

33 – Ivi: 38-39.

34 – Cfr. J. Baudrillard, L’Échange impossible, Paris, Galilée, 1999 ; tr. it. Lo scambio impossibile, Trieste, Asterios, 2000, pp. 132-134.

35 – Ivi, p. 133.

36 – Ricchissima di materiale, spunti e approfondimenti la rivista online «International Journal of Baudrillard Studies», cui collaborano quasi tutti i più accreditati studiosi dell’autore francese. Tra gli studi su Baudrillard, da segnalare: D. Kellner, Jean Baudrillard: From Marxism to Postmodernism and Beyond, Stanford, Stanford University Press, 1989 (il lavoro organico più vecchio e anche uno dei più fuorvianti); M. Gane, Baudrillard: Critical and Fatal Theory, London, Routledge, 1991 (utile correttivo a Kellner; troppo ‘sociologico’ ma molto ricco); R. Butler, Jean Baudrillard. The Defence of the Real, London, SAGE, 1999 (arduo, ma il migliore); F. Carmagnola, La triste scienza. Il simbolico, l’immaginario, la crisi del reale, Roma, Meltemi, 2002 (l’autore riprende Baudrillard in Italia dopo vent’anni di oblio; lo fa con intelligenza ed equilibrio). Tra gli articoli, oltre a quello già citato di Bogard (cfr. nota n. 3), da segnalare quattro lavori italiani: P. Bellasi, Dimenticare il 1968 ovvero giocare Baudrillard contro Baudrillard, introduzione a Dimenticare Foucault, di J. Baudrillard, Bologna, Cappelli, 1977, pp. 7-61 (Bologna 1977, se era davvero come questo articolo, deve essere stata più baudrillardiana di Baudrillard; incisivo e condivisibile); F. Di Paola, Noialtri barocchi e Baudrillard, postfazione a J. Baudrillard, Simulacri e impostura, Bologna, Cappelli, 1980, pp. 114-185 (una delle migliori cose mai scritte su Baudrillard); M. Perniola, Il futuro di un’illusione. Baudrillard e l’arte, in «Ágalma», n. 9, pp. 24-39 (l’autore italiano più affine a Baudrillard rifà i conti con il vecchio amico; trent’anni dopo, le distanze paiono aumentate; articolo lucido e centrato); R. Capovin, Seduzione, sensi e nonsense nell’opera di Jean Baudrillard, in «Ágalma», n. 12, pp. 53-64. Tra i ritratti post mortem spicca: R. Butler, Passings: Jean Baudrillard: The Postmodern Agent Provocateur, «The Australian», 9 marzo 2007, con cui il testo che qui presento converge in numerosi punti, a partire dall’uso del termine “provocatore” (circostanza curiosa, se si pensa che Butler non può avermi letto e che io ho letto Butler a lavoro ormai finito, giusto il tempo di aggiungere queste righe).